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OMI-FER

Taha Omri: «La mia storia? Una come tante ma essere imprenditori è una missione»

agosto 2021

Omi-Fer nasce nel 2009 dalla passione e dall’impegno di Taha Omri, imprenditore tunisino trapiantato, più o meno per caso, in terra lombarda, e del suo team altamente qualificato nel campo delle saldature speciali eseguite con ogni tecnica e materiale (acciaio al carbonio, acciaio inox, materiali non ferrosi come alluminio, rame, bronzo).
Un know-how decennale di competenze tecniche nei settori: siderurgico, laminazione, carpenteria navale, trivellazione verticale e orizzontale, settore energetico e delle materie prime, tecnologie di sicurezza e costruzione di impianti speciali, rende oggi la Omi-Fer un’azienda in costante crescita. Per tutti i membri della squadra, carpentieri, tubisti, saldatori, montatori, la vera arma vincente è lo spirito proattivo e dinamico di Taha Omri, sorprendente esempio di integrazione e di realizzazione, ma soprattutto un imprenditore serio e disponibile verso chiunque lavori con lui e per lui.

Ci può raccontare in breve la storia della sua azienda nei passaggi fondamentali? Si tratta di una realtà relativamente recente ma già molto affermata.
La mia storia inizia in modo difficile, non diversamente da tanti altri immigrati che approdano qui in cerca di fortuna e lavoro. Sono nato e cresciuto in Tunisia, ho conseguito la maturità a Damasco. Dopo la laurea in fisica e chimica, ho girato parecchio nell’Europa continentale, facendo varie esperienze lavorative. Nel 1992 sono arrivato per la prima volta in Italia, ospite di parenti, e ho iniziato a lavorare come raccoglitore di pomodori. Sono stati momenti duri, mi sono scontrato con molte delle difficoltà legate a questa realtà. Successivamente ho conosciuto una ragazza che mi ha aiutato a trovare un posto nella ditta del padre. Dopo un paio d’anni, ho deciso di aprire una mia ditta individuale artigiana. Siamo cresciuti lentamente, abbiamo superato la crisi del 2001 successiva all’11 settembre, poi sono arrivati gli anni d’oro del 2006-2007, e di nuovo la batosta del 2008. Nel 2009, ho fondato la Omi-Fer. Quest’anno prevediamo un fatturato di 20-24 milioni.

Cosa vi contraddistingue dalle tante officine che abbiamo qui in zona?
Quali sono i vostri principali settori di applicazione e i vostri clienti? So che avete lavorato molto nell’ingegneria civile, in particolare avete partecipato a dei progetti molto ambiziosi in ambito aeroportuale.
Come ci distinguiamo? Ho semplicemente responsabilizzato gli operai. In un’intervista a European Business, ho parlato del mio staff come della vera ricchezza di Omi-Fer, ed è davvero quello che penso. Puoi essere il miglior artigiano del mondo, ma se non diventi una squadra, una grande famiglia con le persone che lavorano per te, non potrai mai essere un vero imprenditore. È stato così che abbiamo superato anche la crisi Covid, e ora siamo pronti a ripartire più forti di prima e a partecipare alla rinascita che segue sempre i momenti difficili. Siamo riusciti a prendere parte a lavori importantissimi, abbiamo partecipato all’ampliamento di Orio, alla realizzazione dell’aeroporto di Capo Verde, della Torino-Lione, del nuovo ponte Morandi. Inoltre, abbiamo stabilito un vero e proprio record realizzando il più grande forno prefabbricato mai costruito in Europa: un’opera che persino il committente giudicava quasi irrealizzabile, con un’ampiezza di un campo da calcio per un’altezza complessiva di circa 15 metri. Siamo specializzati in tutto quello che riguarda saldatura, forni, laminatoi, fusione, idroelettrico. Ma credo che il nostro segreto sia quello di essere disponibili sempre, professionalmente e umanamente, per il nostro cliente e per le persone che lavorano con noi, sacrificando se necessario il nostro tempo privato: una mentalità forse di una volta, ma che fa parte di me profondamente.

Lei è di origine tunisina, com’è essere un imprenditore di origine straniera in terra bresciana?
Essere un imprenditore oggi in Italia non è un lavoro, è una missione, e non solo se sei straniero: siamo oberati di tasse, burocrazia, restrizioni Covid e non. Io non mi arrendo, lo devo anche a queste persone che lavorano per me, ciascuna delle quali ha sogni, progetti, problemi, e che contano sul loro lavoro. Per il resto, non mi percepisco straniero e l’Italia non mi fa sentire tale: io rispetto tutti, sono onesto con i miei dipendenti, cerco costantemente di aprirmi e migliorarmi pur essendo fedele alle mie radici. Alla mia età, mi sono rimesso in gioco iscrivendomi a Scienze Politiche. È questo quello che conta. La nazionalità, l’origine, è un fatto relativo. Viviamo già in un mondo globalizzato, tra non molti anni non ci preoccuperemo della “razza” o della provenienza di una persona, ma della persona in sé.

Il futuro, quindi, è sempre più globale, ma dobbiamo aspettarci il meglio dalle persone più che da questa o quella parte del mondo?
Penso che sia importante darsi da fare per le cose giuste, e tenere viva la speranza: quando mi viene inviato un curriculum, non voglio che si fermi nella cassetta della posta. Voglio incontrare quella persona, le voglio parlare, sapere cosa sa fare, farla sentire valorizzata. Magari non ci sarà posto per lei nella mia azienda ma posso aiutarla in altro modo. Non posso permettermi di stroncare le speranze di un giovane che vuole lavorare, rendersi utile e realizzarsi. Qualcosa, nel mondo del lavoro e non solo, deve cambiare.

Arianna Mossali


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