Imprese
Cucina etica e rispetto per la montagna: tutti gli ingredienti dello stellato «Ferdy»
C’è chi, nell’era dell’ostentazione, farebbe di tutto pur di sciorinare frequentazione famose e clienti illustri. Ma se da trent’anni conduci una crociata in difesa della montagna - promuovendo valori che fino a un paio di lustri fa suonavano persino démodé, quali il rispetto per la natura, la valorizzazione del territorio o la salvaguardia della biodiversità - va da sé che l’essere continuamente bollati come “agriturismo dei VIP”, possa suonare frustrante.
È il caso di Ferdy - per i più avvezzi ai social, “Ferdy Wild” (800mila follower, tra Facebook e Instagram) - una pionieristica realtà nata a Lenna, a pochi chilometri da San Pellegrino, ben prima dell’era di internet, dal sogno di Ferdi(nando) Quarteroni, contadino figlio di contadini, che nel 1989 decise di acquistare una decina di cavalli e un grande terreno in località Fenili.
Passano otto anni e la moglie, Cinzia - che nel frattempo aveva dato alla luce Alice e Nicolò - ha l’intuizione di trasformare il rudere, che sorgeva sul medesimo appezzamento, in un agriturismo, per servire i formaggi e le carni ricavate dai loro animali, insaporiti dalle tante erbe spontanee della zona.
Il tempo scorre. I figli crescono. La fama di quel luogo, pure: al punto che, nel 2012, i padroni di casa compiono un altro, fondamentale passo, inaugurando il “Borgo del benessere”, seguito da un caseificio e da un negozietto in cui acquistare i tanti prodotti della filiera (formaggi, salumi, conserve, liquori, tisane, persino cosmetici).
UN’AGRICOLTURA ETICA E RISPETTOSA
Il tutto, senza mai perdere di vista la mission iniziale. «Perché il vero tema - sottolinea Nicolò, che nel frattempo è assurto al ruolo di “volto” della “Ferdy Wild Family” - non è la scalabilità aziendale, ma la decisione di continuare a vivere qui, in montagna, preservando le nostre Orobie.
Senza smettere di parlare di cose che, ai più, parranno noiose: vacche, formaggio, ambiente. Portiamo avanti delle scelte controcorrente: a partire dall’utilizzo di vacche di razza antica (la Bruna alpina, o Original Braunvieh - come è conosciuta a livello internazionale - da sempre tipica della zona, soppiantata nelle ultime decadi da altre specie più produttive, in termini di latte). Oppure, la non standardizzazione dei prodotti, ritornando a una forma di agricoltura pressoché insensata - tanto è dispendiosa a livello di energie - ma che è funzionale al nostro agriturismo ed è alla base della nostra idea di cucina. Questa somma di piccole cose si traduce in un modello di vita montana, per mete - come la nostra - poco turistiche, in un momento storico in cui lo spopolamento è al centro del dibattito».
«Oggi si ha maggiore sensibilità nei confronti di determinate questioni, ma quando mio padre iniziò, pareva folle prediligere la qualità alla quantità, o promuovere il benessere dell’animale (va sottolineato che, in virtù di questa etica, i bovini, da Ferdy, sono macellati soltanto “a fine corsa”, ovvero intorno ai quattordici anni). Ci ha riempiti di orgoglio essere stati insigniti da Michelin con la Stella Verde (riservata ai ristoranti all’avanguardia nel campo della sostenibilità), lo scorso novembre».
SOLO UN RISTORANTE? NO, UN VERO PROGETTO DI LIFESTYLE (OVVIAMENTE, “WILD”)
Le fondamenta su cui si erge Ferdy Wild (ovvero “selvaggio”, «un aggettivo scelto perché ci piace quest’esistenza libera, a tratti anarchica») rimandano a ideali quasi ancestrali. In primis, etica e rispetto: per le persone, per gli animali, per l’habitat.
Le persone, appunto. Ferdy, il fondatore, un po’ filosofo, un po’ asceta (“esiste, ma non lo vedi”, chiosa, scherzosamente, il sito internet); Nicolò, il Deus ex machina, a coordinare il tutto («ma in famiglia non mi ascolta mai nessuno», precisa); Cinzia, la vera padrona di casa, ormai alle prese anche con il ruolo di nonna di Nina e Louis; l’elegante Alice, responsabile dell’accoglienza; il dolce sorriso di Nicole, moglie di Nicolò, responsabile dello shop; Alessio Manzoni, lo chef, che trasforma le fatiche agricole quotidiane in piatti identitari; Alberto, altresì noto come Casarogram, il casaro più famoso del web. Al loro fianco, operano ogni giorno una quarantina di dipendenti. «Perché, se è vero che la qualità della vita in montagna è unica in termini di sicurezza e valori, bisogna pur motivare le persone a rimanerci o, addirittura, trasferirvisi. Molti dei nostri collaboratori provengono da altre regioni: sposano la nostra causa, si innamorano delle Orobie», racconta Quarteroni junior.
E i progetti, è necessario ribadirlo, sono tantissimi.
A partire dal rinomato ristorante, che offre il meglio dell’enogastronomia locale; menù fisso a pranzo, il sabato e la domenica («perché rappresentano il momento della convivialità per eccellenza: in cui ci si siede davanti alla tavola imbandita con bambini, suoceri e parenti»), oppure alla carta, e percorsi di degustazione, negli altri giorni.
Ogni venerdì, alle 17, spazio al cheese tasting. «Un viaggio lattiero-caseario tra fieno, pascoli e forme di alta quota; un’esperienza per il palato, ma anche culturale, per scoprire come nascono i nostri formaggi. All'insegna di un'ospitalità democratica: 30 euro, comprensivi di due calici di vino». C’è chi ha sollevato delle critiche nei confronti di alcuni, ricercati caci, ricavati da pascoli da alpeggio, venduti a cento euro al chilo. «Ferdy dorme un mese all’interno di una grotta per farli. Chi lavora in ambiente agricolo, compie dei sacrifici pazzeschi. Il formaggio da alpeggio è qualcosa di prelibato, da gustare in occasioni speciali, non certo da consumare tutti i giorni. E, se proprio ci si vuole togliere lo sfizio, cento grammi costano dieci euro: il prezzo di uno Spritz. Perché è lecito che un vino pregiato possa essere venduto a 2000 euro a bottiglia, mentre ci fa paura che un cacio valga dieci euro all’etto?», controbatte Nicolò.
Per avere la prova provata di quanto sia tosta la vita ad alta quota, nei mesi estivi è possibile trascorrere ventiquattro ore in alpeggio, a fianco del Ferdy: tra mungitura, raccolta di erbe, fieno e caseificazione.
È stato pensato, invece, per gli amanti di coccole e relax, il “Borgo del Benessere”: trattamenti spa e pernottamenti con ogni tipo di confort. E, ancora: corsi di equitazione, kayak ed escursioni in e-bike, settimane verdi per bambini e ragazzi, esperienze di team building aziendale. Nicolò ha persino ideato due podcast: “Wild Vigneron”, per la promozione di vini in edizione speciale, e “Supereroi Montani”, storie di cibo e resilienza di chef di montagna.
Tante sfaccettature per tracciare nuovi sentieri, che conducano alla sostenibilità del territorio, promuovendo l’eccellenza delle produzioni e la valorizzazione delle tradizioni.
Avvalendosi anche di un linguaggio contemporaneo, fatto di hashtag, like, reel e viralità, certo: per raccontare le Orobie, e chi ci vive, in modo schietto e sincero. «Il nostro scopo non è mica aprire un Ferdy a Sankt Moritz, ma continuare a vivere qui, preservando la nostra casa. Non banalizzateci, appiccicandoci continuamente addosso l’etichetta di “agriturismo dei VIP”», conclude. Rossella Martinelli