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Territorio

Fabio Pezzoli

«Situazione tranquilla, ma non cantiamo vittoria, il virus circola dove non trova ostacoli»

ottobre 2021

È passato un anno e mezzo dall’inizio della pandemia e non abbiamo certo bisogno di ricordare cosa ha significato per la città. Oggi, tra vaccini, green pass e nuove cure, possiamo certamente dire che la situazione è molto diversa. Quanto, e se sia il caso di non abbassare la guardia in vista di nuove varianti, lo abbiamo chiesto a chi è stato in prima linea durante la prima ondata: il direttore sanitario del ASST Papa Giovanni XXIII Fabio Pezzoli.
È scontato dire che Bergamo stia molto meglio rispetto all’anno scorso, basandosi sugli ingressi in pronto soccorso e sui ricoveri, anche rispetto alla media nazionale. Parliamo di 1-2 casi alla settimana.  Attualmente abbiamo in terapia intensiva 7 pazienti e 12 ricoverati in Malattie infettive. E il motivo per cui la nostra città sta vivendo un periodo relativamente tranquillo, nonostante il virus non sia sparito, è che il tasso di vaccinazione a Bergamo ha raggiunto percentuali molto elevate, superando il 90% come prima dose e l’80 come seconda. Certo, anche il vaccino non è definitivo e non dà una copertura assoluta e totale: tuttavia l’infezione ha conseguenze molto moderate in soggetti vaccinati. Tengo a precisare che 8-9 su 10 degli attuali ingressi in ospedale per Covid riguardano persone non vaccinate, di varie fasce di età e con o senza situazioni di comorbilità. Quindi sì, il vaccino è ciò che ci sta permettendo di tornare a una vita normale. La regione Lombardia è la terza per percentuale di vaccinazione, a livello nazionale.
La vita al Papa Giovanni è dunque tornata alla normalità?
Più che alla normalità. Stiamo infatti cercando di recuperare tutto ciò che, tra l’anno scorso e l’inizio di quest’anno, è dovuto passare in secondo piano. Parliamo ovviamente di attività ambulatoriale e di sala operatoria, non certo di situazioni di emergenza o di patologie oncologiche, che hanno sempre ricevuto l’attenzione abituale. Il personale è stato incentivato a effettuare sedute aggiuntive di visite e interventi per poter tornare alla situazione preCovid.
Ci sono state modifiche sostanziali nelle procedure di approccio a situazioni simili, dopo l’esperienza del Covid?
Partivamo da un protocollo di gestione emergenza destinato più che altro a eventi accidentali. Il Covid19 ci ha travolto in modo massiccio e senza precedenti, abbiamo gestito una situazione inedita con l’esperienza che avevamo. Tuttavia,  a Bergamo partivamo già con 72 posti in terapia intensiva. Abbiamo fatto molta fatica a contenere il tutto, ma, tramite accordi con Regione Lombardia, siamo riusciti a incrementare i posti letto in intensiva a 88, più otto in subintensiva. Eventuali altre catastrofi, che ovviamente tutti ci auguriamo non accadano, non ci troveranno impreparati. Per quanto riguarda il Covid, siamo ormai attrezzati sia con i vaccini, sia con le giuste terapie. Siamo stati i primi ad inviare in tutto il mondo i protocolli su come gestire i pazienti, e l’esperienza che abbiamo maturato, pur in modo così crudele, ci fa sentire ragionevolmente sicuri, tant’è vero che, nella seconda ondata che ci ha colpito lo scorso autunno, siamo stati in grado di organizzarci per tempo e contenere i contagi.
Quali scenari futuri dobbiamo aspettarci, o temere, anche alla luce delle esperienze di altri Paesi?
Premesso che ovviamente nessuno ha il dono della preveggenza, le varianti attualmente in circolazione sono quelle a noi già note, brasiliana, alfa, delta, che sappiamo gestire e curare,  e sulle quali i vaccini, soprattutto Pfizer, sono efficaci. La variante che attualmente sta spaventando Inghilterra, Israele e altri Paesi dove i contagi sono tornati a salire, è la Delta plus. Stiamo però parlando di realtà dove il tasso di vaccinazione è rimasto molto inferiore al nostro.  La variante si crea dove il virus circola senza incontrare ostacoli, quale può essere la copertura vaccinale. Il virus muta dove può circolare,  ecco perché dobbiamo estendere il più possibile l’accesso ai vaccini. Pensiamo ai Paesi meno sviluppati. Mi sento di fare un appello a chi deve occuparsi di raggiungere tutte le nazioni con il vaccino,  e non solo quelle che se lo possono permettere senza problemi, o tra un anno saremo ancora qui a parlare delle stesse cose.
La pandemia ci ha fatto scoprire vulnerabili come non sapevamo di essere. Vede ancora molta ripercussione psicologica tra il personale e la popolazione?
È inevitabile. L’esperienza diretta, il vissuto quotidiano a contatto con la morte, ha lasciato il segno. Ho dei dubbi che tutto questo sia servito a renderci persone migliori, o più responsabili. Quello che dovremmo aver imparato e interiorizzato, e che dovremmo sempre tenere presente, sono le misure prudenziali più semplici applicate per il Covid19, certo senza arrivare al lockdown, ma il fatto di mantenere un comportamento responsabile nei luoghi chiusi e affollati, o scrupolose norme igieniche, è d’aiuto a tutta la comunità nella prevenzione delle malattie infettive. Arianna Mossali


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