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Michela Moioli: «Nonna Adriana mi ha insegnato a “molà mia”. I miei trionfi? Ho imparato di più dalle sconfitte»

maggio 2025

«Il segreto di Michela? È più forte di ogni difficoltà. Basta un aneddoto, risalente alla sua infanzia, a rendere l’idea della sua tempra. Una delle prime volte che i genitori la portarono da me, affinché le dessi lezioni di snowboard, le condizioni meteo erano particolarmente avverse: eravamo avvolti da una coltre di nebbia. Le feci mille raccomandazioni, nel timore potesse farsi male: “Vai piano, stai attenta, rimani dietro di me”. Ma, non appena partimmo, mi superò: veloce come un razzo. Peccato che, di lì a poco, cadde, spezzandosi i due incisivi. Di fronte a tutto quel sangue, la portai al rifugio, dando per scontato che la lezione si fosse conclusa. Dopo cinque minuti e qualche lacrima, si rimise il casco e disse: “Su, Cesare, ripartiamo!».
Cesare è Cesare Pisoni, guru dello snowboard e, fin dagli albori, allenatore di Michela Moioli: una figura chiave del percorso di crescita professionale e umana della campionessa nata ad Alzano Lombardo nel 1995. Prima olimpionica italiana di sempre nello snowboard, seconda azzurra a fregiarsi della “tripla corona” - ovvero la conquista di un oro olimpico, un oro mondiale e della Coppa del Mondo - detentrice di 19 vittorie individuali e almeno quattro record, portabandiera dell’Italia ai Giochi olimpici invernali di Pechino 2022.
Un cammino costellato di traguardi, ma non privo di delusioni: come l’esordio in Coppa del Mondo in Austria, nel 2012, quando finì nelle reti alla prima curva. O la rottura del crociato sinistro a seguito di una brutta caduta durante la sua prima finale olimpica, a Sochi, nel 2014, mentre era in corsa per il bronzo. Per non contare il susseguirsi di bronchiti polmoniti che non le hanno dato tregua lo scorso inverno (senza impedirle, però, di aggiudicarsi l’oro ai Mondiali di Sankt Moritz, il 28 marzo: l’unico titolo che le mancava).
Eppure, Michela non si è mai arresa. Perché, spiega: «Sono le sconfitte ad insegnare davvero: costringono a fermarsi e guardarsi dentro. Vincere è bello, inebriante, tuttavia è difficile trarre lezioni dai successi. Se ho pensato di mollare? No. Lo snow è sempre stata la mia passione, a tratti persino un’ossessione. Sono tenace in ogni ambito: in questo somiglio a mia nonna Adriana, la cui vita è stata segnata da lutti e fatiche. Ma non si è mai abbattuta: è la migliore incarnazione del “mòla mia” tanto caro a noi bergamaschi».
Con l’oro conquistato ai Mondiali di Sankt Moritz, sei diventata una leggenda vivente dello sport. Che effetto fa?
«È una grande soddisfazione, però non amo valutarmi sulla base dei miei risultati. Certo, mi gratifica, ma io sono tanto altro: non solo medaglie e vittorie. Cerco di allenare il corpo, così come la mente: soprattutto attraverso lo studio. Sono a un passo dalla laurea in Scienze Motorie».
Hai confessato di dormire pochissimo prima di ogni gara importante, per colpa dell’ansia.
«Eppure, la mattina successiva sono carica: ho così tanta adrenalina in circolo, da non aver nemmeno bisogno del caffè. A dirla tutta, i piazzamenti migliori li ho ottenuti a seguito di nottate in cui avevo dormito sì e no tre ore».
Genera più agitazione la vigilia di una gara, quella di un esame universitario o il tenere un discorso al cospetto del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella?
«Mi approccio a ognuna di queste situazioni utilizzando la stessa tecnica: ovvero, focalizzandomi sul fatto che mi sono preparata, ho fiducia in me stessa e so cosa sto andando a fare, perché l’ho già visualizzato più volte».
Visualizzato?
«Sì, è un fondamento della psicologia dello sport: la insegnano anche i mental coach. Ci si prepara immaginando il gesto, ripassando mentalmente la pista, ripercorrendo gli allenamenti. È una tecnica che si può traslare a qualsiasi altro ambito. Quella che, comunemente, chiamiamo ansia è una fisiologica attivazione del nostro sistema simpatico, per predisporre il corpo ad affrontare una sfida: accelerando il battito cardiaco e la sudorazione. Insomma, quel nodo alla pancia non è così negativo come si è portati a credere».
Durante le discese, tocchi picchi di velocità di 70km orari. Paura?
«Come si può aver paura di qualcosa che si conosce così bene? Prima di ogni competizione, ho esplorato a fondo ogni centimetro di quelle piste. Inoltre, scio da quando ho due anni e sono sulla tavola dagli otto. La paura è un sentimento che riservo a ciò che non conosco».
Il giorno più bello della tua vita?
«L’oro olimpico. Che, comunque, se la gioca con l’oro mondiale. Per assurdo, è stato più facile vincere le Olimpiadi, dei mondiali: ero reduce da un periodo molto complesso, sia sul fronte professionale, che personale».
Il 2026 sarà l’anno dei giochi olimpici invernali di Milano - Cortina. Quali obiettivi ti prefiggi?
«Arrivarci in salute sarebbe già una grande cosa: sul piano fisico, emotivo e mentale. A livello personale, mi auguro di godermela: di avere la serenità che mi è mancata, in passato. Sarà la mia quarta Olimpiade, per di più nel mio Paese. Da atleta, invece, spero di arrivare in finale e lottare per qualcosa di… luccicante! Inutile negarlo: quando ci si trova davanti al cancelletto, l’obiettivo è uno solo».
A luglio compirai 30 anni.
«Festeggerò con gli amici di sempre: una trentina, alcuni di Alzano, altri dello sci, provenienti da tutta Italia. Ho già prenotato un agriturismo dove trascorreremo un paio di giorni all’insegna del divertimento, tutti insieme».
Chissà quante rinunce avrai dovuto fare, in nome dello sport, durante l’adolescenza.
«È vero: l’agonismo impone rigore, i bagordi non sono contemplati. Ma, quando me lo fanno notare, rispondo che ho avuto privilegi che i miei coetanei si sognano: come viaggiare, conoscere luoghi che, altrimenti, mai avrei potuto visitare».
A festeggiare i tuoi 30 anni ci sarà anche Sofia Goggia, tra le tue più care amiche?
«Sì, ovviamente la Sofi è una delle invitate».
Sei più brava tu sugli sci, o lei con lo snow?
«Per esclusione, ti dico che me la cavo meglio io sugli sci, perché non l’ho mai vista inforcare la tavola».
Durante l’estate, vi allenate spesso insieme, uscendo in bici.
«Mi dà filo da torcere: siamo entrambe iper competitive. È una trascinatrice»
Quale augurio ti fai per l’inizio del tuo nuovo decennio?
«Il mio auspicio è di riuscire a trovare sempre equilibrio e certezze dentro di me, senza cercarle fuori. Ho metaforicamente chiuso un cerchio, conquistando le medaglie che mi mancavano: quindi, sento di aver dato inizio a una nuova fase della mia carriera, nonché della mia vita. Il mantra dei prossimi dieci anni? Mettere al centro me stessa».
Rossella Martinelli


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