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HR MANAGER

SACBO vola sempre più in alto. «Il sogno? creare un'academy con Assaeroporti»

maggio 2018

Tutto è partito da un’intuizione: inaguriamo un ciclo di interviste per approfondire l’universo HR (human resources) delle più grandi realtà bergamasche, fornendo una sorta di servizio di orientamento a chi è alla ricerca di lavoro. Da parte di chi scrive, una certezza (che, vedrete, si rivelerà un preconcetto): finiranno con l’essere conversazioni ingessate, algide; un lungo elenco di cifre, percentuali, date e riferimenti a normative.
Poi ti trovi al cospetto di Roberto Rampinelli, classe 1959, direttore Risorse umane di Sacbo dal 2006: il manager che non ti aspetti. Perché non è lo sciorinare numeri (seppur virtuosi) a fargli brillare gli occhi, bensì il condividere le storie umane e professionali delle persone che ha arruolato nel corso di questi dodici anni.
Come quella di Silvia - 28 anni e un figlio di cinque mesi - entrata in Sacbo da stagista, attualmente quadro. «Il giorno della discussione della tesi - di cui era correlatrice Laura Monteleone, responsabile sviluppo organizzativo, nonché mio braccio destro - mi presentai con un mazzo di fiori e una vistosa busta che sbucava dal taschino della giacca, attirando l’attenzione dei suoi parenti. Appena proclamata dottoressa, gliela consegnammo: era la lettera d’assunzione. Nessuno se lo aspettava: fu una forte emozione».
O il drammatico vissuto di Gianfranco: 46 anni, due figli, tre decadi a spaccarsi la schiena facendo il manovale. Finché l’impresario gli comunica che la ditta chiuderà i battenti: otto mesi di disoccupazione e, poi, basta. Mica facile vivere con 850 euro, accettare l’aiuto degli anziani genitori e mandare in frantumi il sogno della figlia di frequentare l’università. «Di colpo - si legge in un suo scritto - il lunedì mattina si trasforma nel momento più brutto: ti nascondi, perché ti vergogni come se avessi fatto qualcosa di male. Ti vergogni, perché non vai a lavorare». Bussi a mille porte, ma se sei alla soglia dei 50 anni, nessuno aprirà. Il solo spiraglio di luce è l’impiego stagionale in aeroporto: ma quanti pianti, ogni ottobre, nel riconsegnare il badge. Lacrime che, dopo tre anni, diventano espressione di gioia e segnano la fine di un incubo: arriva una chiamata. Dall’altra parte del telefono c’è Roberto, il grande capo, che ti comunica di essere stato assunto a tempo indeterminato. «È uno dei nostri migliori operai: è riuscito persino ad affossare il falso mito che nel suo reparto si facesse carriera unicamente per anzianità. Finalmente, ha accontentato la figlia: l’ha potuta iscrivere all’università».
IL VALORE DEL “CAPITALE UMANO”
Rampinelli e Monteleone non hanno dubbi: «È il capitale umano la vera ricchezza. Nel nostro team vige un mantra: vogliamoci bene! Un buon clima reazionale è imprescindibile per la produttività. Il Taylorismo è roba superata: non basta portare a termine il proprio compitino e sono banditi i “non tocca a me” o “è colpa sua”; ciò che conta è il risultato finale: del quale siamo tutti responsabili».
Una mission ben chiara al dipartimento HR di Sacbo - sette donne e due uomini, con l’obiettivo di altri due ingressi a stretto giro -: al punto di aver apportato un’eloquente storpiatura a quell’acronimo, trasformato in Heart e bRain, ovvero cuore e cervello. La base di ogni cosa.
Un ruolo, il loro, che ha assunto via via nuovi connotati. «Un tempo si parlava di “Direzione del personale”, oggi di “Organizzazione delle persone”. Si punta maggiormente al valore strategico delle risorse, che vanno messe nella condizione di dare il meglio. Concepiamo l’azienda come la sovrapposizione di due reticoli: quello tecnico - ovvero la produzione di beni e servizi - e quello relazionale; se manca il secondo, vacilla tutto il resto».
Quel tutto - nel loro caso - si traduce in 213 risorse riconducibili a Sacbo e 311 della controllata BGY International Services (detta BIS), che fornisce servizi operativi di handling. Un numero dinamico, che conosce un fisiologico incremento durante l’alta stagione.
E, nota di colore, l’organico contempla  quattordici nazionalità, senza tralasciare nessun continente. Problemi di coesistenza? «Affatto. Prendiamo il meglio da ognuno. Le ragazze russe, per dire, hanno un’attitudine vincente: c’è molto da imparare da loro. Il confronto quotidiano con diverse culture è arricchente».
L’IMPORTANZA DELL’INGLESE E DEGLI SPORT DI SQUADRA
Una realtà decisamente appetibile per chi cerca occupazione: a parlare sono i numeri. «Riceviamo 4000 curriculum l’anno. Il primo fattore determinante, che decreta quanti di questi verranno convocati per un colloquio, ha a che fare con le figure che cerchiamo in quel momento: disponiamo di un software che filtra le candidature. Per quanto riguarda BIS, siamo costantemente alla ricerca di addetti ai servizi aeroportuali di terra: assistenza ai passeggeri, agli aeromobili e agli equipaggi. Su cosa ci focalizziamo? L’inglese e è fondamentale e viene valutato oralmente durante la prima intervista. Interessanti anche i profili di chi conosce russo e arabo. I voti di laurea e diploma contano sì e no: spesso corrispondono a ragazzi ingessati - i classici secchioni – ma per noi l’aspetto relazionale è fondamentale. Ragion per cui è un valore aggiunto che dal CV emergano esperienze sportive di squadra: significa essere abituati a conseguire un obiettivo comune all’interno di un team».
Fondamentale il ruolo degli stage. «Uno strumento importante: per l’azienda, poiché aiuta nella selezione, e per il candidato. Non mettiamo i giovani a far fotocopie, bensì insegniamo loro un mestiere. Da tempo abbiamo avviato una proficua collaborazione con ENAIP Lombardia, che ha creato un corso post diploma per assistenti aeroportuali di terra. Stesso discorso per il Politecnico e l‘Università di Bergamo; a tal proposito, abbiamo un sogno nel cassetto: creare una Academy in partnership con Assaeroporti, l’associazione dei gestori aeroportuali».
I profili più cercati? Economisti, giuristi, ingegneri edili, aeronautici e dei trasporti.
TRA SINDACATI E FORMAZIONE
«Ci sono state fasi di conflittualità classica, soprattutto tra il 2006 e il 2011, con minacce di sciopero e recriminazioni. Oggi, però, i rapporti sono decisamente migliorati: gli interlocutori sono cresciuti insieme a noi, seguendo la nostra curva di cambiamento. Abbiamo dovuto mettere il sindacato di fronte a realtà scomode, che sarebbe stato tragico ignorare. Le società sono due - come impone la normativa europea, superati certi numeri -: il gestore, un concessionario dello Stato, monopolista, che si muove dentro a un contesto economico più facile e BIS che, invece, opera in competizione tra operatori privati e non può ricevere introiti di naturale statale; se il conto economico va in perdita, si chiude. Si è reso necessario negoziare condizioni di lavoro che ne ottimizzassero efficienza e flessibilità».
L’ultima parola d’ordine è “formazione”: si traduce in 23mila ore (dato di fine 2017). Coinvolge tutti: al punto che persino chi segue la contabilità sa come comportarsi in caso di incendio.
Un virtuosismo che si declina in altre iniziative: Orio è stato il primo aeroporto in Italia ad adottare un protocollo di assistenza ai soggetti autistici; tutto il personale, infatti, è stato preparato da psicologi per fornire un’adeguata assistenza durante il tragitto a quanti affetti da tale patologia: check-in, controlli di sicurezza e via dicendo. «Un percorso sociale di cui siamo stati precursori e che, sul nostro esempio, hanno adottato altri aeroporti», concludono soddisfatti Rampinelli e Monteleone.
Rossella Martinelli


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