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Personaggi

ANTONIO CHIAPPANI

«La pandemia? I bergamaschi hanno diritto a conoscere la verità»

giugno 2021

Abbiamo incontrato Antonio Chiappani, alla guida della Procura di Bergamo dal dopo-lockdown del 2020, e abbiamo cercato di capire a che punto siano le indagini sulle possibili responsabilità nella diffusione del Covid. Già alla fine dello scorso anno, Chiappani aveva denunciato chiare omissioni da parte di chi avrebbe dovuto monitorare la situazione.
Procuratore capo Chiappani, com’è stata ad oggi la sua esperienza qui a Bergamo?
Ad oggi un’esperienza molto positiva: ho trovato un bel clima in Procura, nonostante sia arrivato all’uscita dal lockdown, con giudici molto preparati. C’è stato qualche problema da risolvere per quanto riguarda la mancanza di personale, ma stiamo man mano risolvendo, garantendo risorse per ogni tipo di servizio. Ogni magistrato dispone di un segretario e di un addetto di polizia giudiziaria. Ci sono dei servizi in comune, soprattutto per quanto riguarda il deposito e l’accesso agli atti da parte degli avvocati, e l’ufficio esecuzioni penali lavora a pieno ritmo per smaltire l’arretrato, e rendere così esecutive le sentenze datate. Ho trovato molti casi interessanti su cui lavorare. Impegnativo, ma interessante.
È arrivato da Lecco, un ambiente per certi versi simile, entrambe città sobrie e operose, che differenze ha trovato?
Quella lecchese era una procura molto più piccola e di conseguenza più problematica, sempre per quanto riguarda la carenza di personale, che rendeva difficile garantire i servizi essenziali. La tipologia di reati che affrontiamo è invece in linea tra le due città, specialmente dal punto di vista dei reati finanziari, proprio perché le città della Lombardia orientale hanno un’ossatura economica molto simile.
Ha assunto il suo mandato in un momento complicato, di poco successivo allo scoppio della pandemia. Alla fine dello scorso anno, ha parlato di possibili omissioni da parte delle istituzioni preposte a lanciare l’allarme.
Le indagini che stiamo svolgendo lo stanno dimostrando. Tutti eravamo alquanto impreparati, si è sottovalutata la situazione. Come nelle imprese è importante la valutazione del rischio, così dovrebbe essere nella società, e qui la valutazione del rischio non c’è proprio stata. Ormai questo è evidente a tutti i livelli. Il piano pandemico antiinfluenzale risaliva al 2006 e non era mai stato aggiornato, non esisteva un piano di attuazione né la formazione del personale sanitario, le strutture non erano monitorate. Fossero stati previsti dall’inizio i triage e i reparti separati, forse una parte del disastro si sarebbe potuta evitare.
A suo parere l’OMS non ha sufficientemente chiarito la pericolosità della situazione o l’Italia si è trovata impreparata?
Ovviamente l’OMS, essendo organismo sovranazionale autonomo, non è oggetto delle nostre indagini, sta di fatto che la gestione della cosa è stata incerta e confusionaria fin dal mese di gennaio. Le indicazioni che venivano fornite erano alquanto contraddittorie. Il problema ha riguardato diversi aspetti. Per fare un esempio, i voli dalla Cina sono stati sospesi con grande ritardo. E anche quando ciò è stato fatto, a tutt’oggi ci sono viaggiatori che arrivano incontrollati dal Brasile e altre aree pandemiche facendo scalo altrove.
Come si è evoluta la vicenda dal punto di vista giudiziario?
Stiamo valutando attentamente tutto il materiale che abbiamo raccolto nell’indagine per ricostruire l’accaduto e le responsabilità. Siamo in attesa di una perizia da parte del professor Crisanti sull’incidenza di alcuni comportamenti rispetto alla diffusione del contagio, e come hanno avuto origine i focolai locali. Siamo anche in attesa di risposta ad alcuni quesiti inviati alla stessa OMS.
È difficile gestire il movimento e il rispetto delle regole a Bergamo? Ci sono stati casi di incriminazione per violazioni delle norme di sicurezza?
Il problema è dimostrare dove e come una persona possa avere contratto il Covid. Il nesso di causalità non sempre è facile da individuare, neanche per i consulenti medici. Si procede per esclusione.
Ad oggi, quali scenari può prevedere, premesso che già sappiamo che, anche con la copertura vaccinale, non ci sarà un liberi tutti?
A sentire le varie personalità scientifiche che si alternano in televisione e i calcoli di probabilità che vengono presentati, le previsioni non sono esattamente ottimistiche. Le varianti attualmente in circolo si infiltrano anche in terreni già bonificati. Dobbiamo sperare che i vaccini funzionino, che coprano a sufficienza, ma questo non è il mio campo.
Norme anticovid a parte, su quali altri aspetti rilevanti si sta concentrando l’attività della procura?
Una delle nostre principali attività è il monitoraggio dell’economia. Un’economia selvaggia o viziata non fa bene a nessuno. Le regole riguardano principalmente l’accesso al credito e il controllo delle eventuali crisi d’impresa. Con la crisi bancaria e quella legata al Covid, il rischio di fallimenti a catena è molto alto. Prevediamo sia un aumento delle procedure concorsuali, sia una crescita dell’economia illegale, entrambi fenomeni che vanno tenuti sotto stretto controllo. Il rischio, ovviamente, è quello di infiltrazioni malavitose, specialmente in alcuni settori che più di altri hanno accusato il colpo. Il mercato è libero se le regole vengono rispettate. Facciamo l’esempio del bonus 110% per le ristrutturazioni: strumento giusto e utile, ma che va attentamente monitorato per evitare che si inseriscano imprese e erogazioni non regolari.
Un messaggio di incoraggiamento ai cittadini di Bergamo?
La giustizia è difficile da ottenere, ma il nostro obiettivo, prima di arrivare ai processi, è quello di raccogliere tutti i dati per aiutare i bergamaschi a capire cosa è successo, come è loro diritto. Arianna Mossali


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