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Personaggi

FATTORE R

Rodeschini racconta il suo Raffaello (e non solo)

febbraio 2018

Da trent’anni, ogni mattina Maria Cristina Rodeschini dà del tu a decine di capolavori della storia dell’arte italiana: il «Ritratto di Lionello d’Este» di Pisanello, le «Madonna col Bambino» di Andrea Mantegna e di Tiziano, il «San Sebastiano» di Raffaello, la «Storia di Virginia Romana» di Botticelli o il «Canal Grande da palazzo Balbi» di Canaletto, fiori all’occhiello della ricchissima collezione dell’Accademia Carrara (1796 dipinti, 130 sculture, 3601 disegni, 7600 stampe antiche, 976 medaglie, 320 cornici, libri, affreschi, gessi, monete, sigilli, mobili, porcellane, ventagli, peltri).
Fece il suo debutto ufficiale nei corridoi della pinacoteca orobica nel 1990 - dopo aver vinto il concorso per diventare conservatore - ma già da un decennio quell’imponente palazzo ottocentesco si era trasformato nel suo secondo domicilio. Una passione che la spinse, a metà del corso di laurea, a sostenere l’esame da guida museale; va da sé che, quando arrivò il momento della tesi, scelse di concentrarsi sulla “sua” Carrara: due anni trascorsi a studiare tremila disegni cinquecenteschi su cui nessuno aveva mai messo mano.
Eppure, ci confida, ancora oggi, di fronte a certe opere, la commozione è tale da mozzare il fiato. Una condizione ben descritta da Stendhal in occasione del suo viaggio a Firenze: «ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati», riportò nei suoi diari.  Uno stato di contemplazione estatica che si prova solo dinnanzi alla maestosa bellezza dell’arte.
«Come qualche mese fa al Guggenheim, davanti all’inquietante “Vestizione della sposa” di Max Ernst, o la scorsa settimana, mentre fissavo la pala dell’Assunta di Tiziano, nella Basilica dei Frari di Venezia: da svenire. O a Roma, a settembre: all’incirca la mia trentesima volta ai Musei Vaticani ciò nonostante, messo piede nella Stanza della Segnatura, sono rimasta folgorata. “La scuola d’Atene” è pura meraviglia: una somma di misura ed equilibrio, che riassume i cardini di tutta la cultura e filosofia occidentale. A mio avviso, il capolavoro assoluto di Raffaello», aggiunge.
Raffaello, appunto: protagonista della prima, grande mostra dell’era Rodeschini (curata insieme a Emanuela Daffra, direttrice della Carrara nel 2016, e Giacinto Di Pietrantonio, per 16 anni alla guida della GAMeC). Un progetto espositivo inaugurato il 27 gennaio (rimarrà aperto fino al 6 maggio) che, prendendo avvio dal «San Sebastiano», ripercorre la formazione del maestro urbinate (alla corte di Federico da Montefeltro, accanto al padre, Giovanni Santi, nonché Perugino, Pintoricchio, Luca Signorelli), analizzando approfonditamente il lustro tra il 1500 e il 1505 attraverso quattordici opere provenienti da tutto il mondo (Metropolitan di New York, National Gallery di Londra, Isabella Stewart Gardner di Boston) e illustrando le influenze del mito raffaellesco nell’Ottocento, così come ai giorni nostri. (Leggi l'intervista completa nel numero di marzo)

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