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#PROFESSIONE TRAVEL BLOGGER

«Ho lasciato l’avvocatura per girare il mondo (remunerato)»

maggio 2018

Detesta il termine «influencer», nonostante i 200mila follower su Instagram e le decine di migliaia di like che catalizza con ogni post lo rendano ufficialmente un esponente della categoria.
Francesco Innocenti - in arte FramboiseJam - bergamasco di Dalmine, classe 1990, maturità classica al Sarpi e una laurea in Giurisprudenza con lode in Cattolica - preferisce definirsi un «Comunicatore con uno spiccato gusto estetico, che ha avuto la fortuna di debuttare su Instagram nel momento giusto». Anche perché - aggiunge - se proprio deve citare qualcuno a cui attribuire lo status di «influencer», allora quel titolo spetta di diritto alla sua mamma, Annarita. «Una vera artista, nonché un’esteta: dipinge la porcellana, crea oggetti artigianali in patchwork; ti giri ed è sempre alle prese con la fustellatrice. Le sue mise en place sono leggendarie: spesso le dico che dovremmo creare un account attraverso il quale condividere le sue creazioni, perché avrebbe un enorme successo. Basti pensare che una delle foto da me pubblicate, detentrice del maggior numero di “mi piace” immortala i biscottini che prepara ogni Natale e decora con meticolosa cura. È lei la mia influencer».
Eppure, persino «Vanity Fair» lo ha segnalato (insieme al socio Andrea Tamburrini, con il quale ha fondato il blog AndyJam.com) come uno dei «visual storyteller» da tener d’occhio.
Facciamo un doveroso (e chiarificatore) passo indietro: chi sono gli «influencer»? Letteralmente: «influenzatori». Si tratta di personalità che vantano migliaia (alle volte, persino milioni) di adepti nei vari social network - YouTube, Facebook, Instagram -, dove condividono istantanee, pensieri, video. E, soprattutto, orientano i consumi di chi li segue: un loro post impenna le vendite di qualsiasi bene o servizio. Va da sé che le aziende siano disposte a versare cifre da capogiro pur di comparire sui loro profili. Un esempio su tutti: Kim Kardashian - 110 milioni di follower - viene pagata 500mila euro per ogni immagine o cinguettio.
«Il mercato americano applica tariffe che corrispondo al triplo, rispetto a quelle italiani: chi si attesta intorno ai 200mila follower, ad esempio, può tranquillamente chiedere 3000 euro  per una foto, arrivando a 100mila annui. Poca roba se si confrontano con i cachet dei fashion blogger: sfiorano tranquillamente i 300mila euro». Scatti che, va precisato, non sono il frutto di un estemporaneo click dallo smartphone, bensì di un procedimento che dura almeno 4 ore. «Utilizzo una macchina fotografica - la Mirrorless della Sony -: dopodiché, importo ed edito l’immagine. Un lungo lavoro di post produzione che non ha l’obiettivo di alterare la veduta, bensì di correggere il colore, applicando un filtro cromatico omogeneo, che vira sulle tonalità del blu e arancione. L’ho creato io e, in virtù delle tante richieste, sto valutando di commercializzarlo: anche perché non so quanto a lungo brillerà la mia stella sui social. Preferisco adottare una mentalità più imprenditoriale».
Pragmatico il ragazzo: del resto anche la stringata, ma eloquente bio che troneggia nel suo profilo, racconta di una scelta cui è approdato dopo un lungo arrovellamento. «Quit the law firm to travel the world»: ovvero, ho abbandonato l’avvocatura per girare il mondo. Sì, perché nonostante non ami le etichette, Francesco nasce come travel blogger: le sue istantanee in ogni angolo del Pianeta fanno sognare ad occhi aperti e, ovviamente, inducono chi le contempla a salire sul primo aereo disponibile. «La cosa buffa è che fino ai 18 anni avevo trascorso ogni santa estate in Sardegna - terra della mia mamma - e gli inverni in  montagna. Fu nel 2008 che misi per la prima volta piede fuori dall’Europa: l’occasione era una vacanza studio a New York. Amore a prima vista: da allora ci torno ogni anno». E, ancora, Myanmar, Giappone, Giordania, Messico, East e West Coast, Svizzera, Portogallo, Regno Unito, Francia, Spagna, Caraibi, Marocco, Ungheria, Germania, Austria: gli enti del turismo dei cinque continenti (e relativi hotel pentastellati) fanno a gara per contendersi il bergamasco. «Mi offrono il soggiorno completo, spesso persino un gettone presenza. Ma viaggio molto anche a spese mie».
Consigli per chi vuole sfondare? «Essere veri: un comunicatore efficace deve credere nel messaggio che sta veicolando, altrimenti perderà di efficacia. Curiosità e originalità sono necessarie, così come l’essere mossi dal desiderio di raccontare qualcosa: guai a voler diventare famosi a tutti i costi. Ecco perché, se proprio devo trovare un nome alla mia professione, rispondo che faccio il “visual storyteller”: voglio narrare un lifestyle, creare contenuti poetici, ispirazionali».
Senza lasciare che la preziosa laurea rimanga per sempre nel cassetto a ricoprirsi di polvere. «Quando - terminata la pratica di avvocato - comunicai ai miei che volevo accantonare la professione per dedicarmi totalmente al progetto legato al blog, storsero il naso. Continuerò a tentare l’esame di Stato, perché un domani potrebbe essere interessante occuparsi di contrattualistica in relazione all’universo di internet: del resto il mio primo amore rimane il diritto industriale e sarebbe affascinante cogliere gli sviluppi della giurisprudenza relativa alla proprietà autorale declinata nel world wide web. Ma per ora mi concentro sulla diversificazione dei contenuti: punto a creare sinergie con il mondo della moda, interpretando in modo sensato una serie di outfit, a seconda delle varie destinazioni. Mantenendo i miei due capisaldi: la cura per l’estetica e l’amore per la verità».
(rm)

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