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«Non chiamatemi rottamatore Gori? Bergamo merita di più»

ottobre 2018

«Sì, io voglio andare al governo di questo Paese per trasformarlo, non in chissà quale campo dei miracoli, ma in un posto normale, dove le leggi tutelano tutti e vengono rispettate, dove i diritti esistono solo insieme ai doveri, dove le tasse diventano servizi, dove l’idea di futuro non si misura sullo «zero virgola» del PIL, ma sul numero dei bambini nati, sulla qualità dell’aria che respiriamo, del cibo che ci finisce in tavola, sulla possibilità che le persone avranno di radicare le loro storie nei loro territori, come sempre è stato prima di noi, di generazione in generazione».
Così scriveva nel 2016 - con sorprendente lungimiranza - il vice premier e Ministro dell’Interno Matteo Salvini nel prologo di «Secondo Matteo»: l’autobiografia redatta con Rodolfo Sala e Matteo Pandini (oggi a capo dell’ufficio stampa e comunicazione del Viminale). A distanza di due anni, il leader del Carroccio non è più soltanto l’uomo simbolo del centrodestra: il «Time» l’ha definito «il nuovo volto dell’Europa» e per parte della stampa è lui il vero  «rottamatore». O lo si ama, o lo si odia; ma una cosa è certa: ogni sua dichiarazione fa notizia. E la pazza idea di trasformare questo Paese non l’ha ancora abbandonato.
Ministro, più di qualcuno ha ventilato che, in fin dei conti, il vero «rottamatore» sia lei, non Renzi. È un appellativo che le piace?
«Posso essere sincero? Penso che l’introduzione del termine “rottamazione” sia stata una delle colpe più gravi della stagione renziana. Quanto cinismo serve per paragonare delle persone di esperienza - nel suo caso addirittura compagni di partito - a ferri vecchi, buoni solo per le discariche? Oppure, per liquidare con l’ormai fatidico #staisereno il povero Enrico Letta? Per quanto mi riguarda, da segretario della Lega posso vantarmi di aver dato una nuova impronta al mio movimento, senza tuttavia mai rinnegare un solo atomo della nostra storia. Le pagine belle e quelle meno belle, i dirigenti da ricordare. come Gianfranco Miglio, e quelli da dimenticare: tutto ha contribuito a portarci fin dove siamo arrivati».
Ha fatto notizia la copertina che le ha dedicato il «Time»: un onore toccato, prima di lei, soltanto a Berlusconi, Monti, Berlinguer, Togliatti, De Gasperi e Mussolini. Ce n’è almeno uno che stima?
«Ognuno di loro meriterebbe un’analisi approfondita, ma se devo proprio sceglierne uno dico Berlinguer. Non certo per affinità politica, ma per l’abnegazione con cui si è dedicato alla causa in cui credeva, con coerenza e senza mai risparmiarsi, fino al punto di morire sul palco di un comizio. Al di là delle ideologie, doveva essere una persona di grande valore».
Sempre il «Time» l’ha definita un «uomo in missione per disfare l’Unione Europea». Com’è l’Europa che sogna e qual è il ruolo dell’Italia al suo interno? Ed è davvero certo che il voto di maggio sancirà l’inizio di una nuova Europa?
«Sono sicuro che quanto sta succedendo in Italia non è che l’inizio di una grande rivoluzione europea, per certi versi simile a quella del 1989, quando i paesi dell’Est si affrancarono uno dopo l’altro dal blocco sovietico. Anche oggi soffia quello stesso vento del cambiamento, anche oggi i popoli tornano protagonisti con il loro desiderio di recuperare le redini del proprio destino. Per l’Europa è una grande occasione per rinnovarsi come Unione fondata sulla democrazia e non più sulla speculazione finanziaria, sulla collaborazione tra Stati e non più sul ricatto dei pochi a scapito dei molti».
La manovra pare abbia scontentato tutti: l’Europa, i sindacati, il mondo dell’impresa. L’ha pesantemente criticata persino Piero Angela. Lei e il ministro dello Sviluppo economico Di Maio, invece, concordate nel ritenerla la «manovra del cambiamento».
«Capisco che l’atteggiamento del nostro Governo possa essere sorprendente per alcuni: raramente in passato si era visto un Esecutivo che manteneva la parola data in campagna elettorale, ma consiglio a tutti di farsene una ragione. Noi andremo avanti senza esitazioni. Sono milioni di italiani a chiedercelo».
Gli imprenditori lamentano non siano ancora state introdotte misure che permettano alle aziende italiane di tornare ad essere competitive. Non sarebbe stato più auspicabile creare le condizioni affinché le imprese assumessero, anziché elargire denaro a chi non lavora? Del resto, esistono già la cassa integrazione, la cassa di solidarietà e il sussidio di disoccupazione…
«La nostra manovra economica darà risposte a tutti. Non faremo miracoli, ma siamo determinati a rimettere in sesto questo Paese un pezzo alla volta, partendo proprio dal settore produttivo che deve poter guardare al Governo come ad un alleato e non più come ad una zavorra. Quanto al reddito di cittadinanza, posso assicurare fin da ora che come Lega vigileremo perché non ci siano sprechi e non diventi una misura meramente assistenziale. Nessuno sarà stipendiato per restare sul divano. Con Luigi di Maio siamo d’accordo che l’Italia riparte, se riparte il lavoro e una prima scossa in questo senso arriverà dalla riforma delle pensioni con la quale, oltre a ripristinare il sacrosanto diritto al riposo per chi ha lavorato una vita, apriremo nuovi spazi per i giovani disoccupati».
In particolare, prevedete qualche misura a favore delle PMI che da anni chiedono a gran voce al governo di fare qualcosa per ridurre il costo del lavoro e dell’energia e rendere più facile l’accesso al credito?
«Senza entrare troppo nei tecnicismi, posso anticipare che la nostra rivoluzione fiscale della flat tax al 15% inizierà proprio dalle partite iva, dai piccoli e medi imprenditori che dopo anni di privazioni economiche da parte dello Stato potranno tornare a lavorare, quindi a produrre e ad assumere».
Nel 2014 depositò in Cassazione le firme per la legalizzazione della prostituzione, dalla cui tassazione sarebbero entrati 4 miliardi di euro nelle tasse dello Stato. Ora che è al governo ha veramente intenzione di perseguire questa strada?
«La regolamentazione della prostituzione non è nel contratto di Governo tra la Lega e il Movimento Cinque Stelle, quindi non ci saranno decreti in tal senso».
Mi tolga una curiosità: con Berlusconi preferisce parlare di politica o di Milan?
«Con Berlusconi è bello parlare di tutto. È una persona dall’esperienza straordinaria in moltissimi campi, capace di spaziare dalle grandi strategie della geopolitica al calcio, dall’economia finanziaria alle barzellette, con la stessa verve e la stessa competenza. Anche se ogni tanto capita di non andare d’accordo, confrontarsi con lui è sempre  stimolante».
È nota la sua venerazione per De André: immagino che quando si interfaccia con Beppe Grillo una parte di lei muoia dal desiderio di inondarlo di domande per scucirgli aneddoti sul suo amico fraterno.
«Con Beppe Grillo ho avuto in realtà poche occasioni per confrontarmi, dal momento che i miei interlocutori sono generalmente  gli esponenti più prettamente politici del Movimento, però mi sono chiesto che cosa ne direbbe De André di questo nostro sodalizio di Governo: penso prenderebbe in giro entrambi».
Il suo primogenito, Federico, ha 15 anni: più o meno la stessa età in cui lei iniziò a interessarsi di politica; anche lui - come il padre a quell’età - è (prendo a prestito le sue parole) «un compagno che sogna la rivoluzione»?
«Federico fortunatamente ha in testa soprattutto il calcio, gli amici e la musica “trap”, di cui grazie a lui mi sto facendo una cultura di tutto rispetto».
E a Mirta, 6 anni, come ha spiegato il lavoro che fa papà?
«La piccola Mirta sa che il suo papà lavora con i poliziotti per punire i cattivi e proteggere le persone perbene».
Il suo sogno nel cassetto è tornare da dove è partito: Milano. Quando vorrebbe giocarsi la partita di Palazzo Marino?
«Al momento preferisco non sbilanciarmi in previsioni. Dico solo, con un sorriso, che se nel 2013 qualcuno mi avesse detto che avrei portato la Lega al 17% gli avrei dato del matto, quindi mi tengo pronto a qualsiasi evenienza. Il bello del destino è proprio la sua imprevedibilità».
A proposito: nel 2019 a Bergamo si eleggerà il nuovo sindaco. Dipendesse da lei, chi vorrebbe come Primo cittadino?
«Sicuramente qualcuno che voglia dedicare davvero il suo tempo, le sue energie e il suo lavoro ai bergamaschi, senza considerare la poltrona di sindaco solo come un trampolino per tentare nuove e disastrose avventure politiche, come è recentemente successo con Giorgio Gori. Bergamo merita molto di meglio. E lo avrà». Rossella Martinelli


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