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Economia

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Lo Stato deve aiutarci

aprile 2020

Paolo Agnelli, Presidente Confimi Industria, non ha parole tenere per come l’emergenza Covid sta venendo gestita in termini di politiche del lavoro ed economiche. Da imprenditore alla guida di un gruppo di aziende dalle molteplici applicazioni, come tutti si attiene alle disposizioni governative e segue con preoccupazione l’evolversi degli eventi, da leader di una delle maggiori associazioni di categoria del Paese analizza lucidamente gli interventi necessari per uscire da questa situazione contenendo i danni.
Da questa settimana tutte le aziende del gruppo sono chiuse dopo l’ultimo DPCM - spiega - A livello nazionale, la problematica principale sta nell’enorme confusione creata sui codici ATECO delle aziende che possono lavorare e di quelle che devono invece chiudere. La superficialità con cui il decreto è stato emesso e modificato, affidandosi esclusivamente ai codici assegnati dalla Camera di Commercio senza alcuna reale conoscenza dell’attività, lascia ampio spazio al caos. Ad esempio, prendiamo il caso di un’azienda identificata come officina meccanica generica. Supponiamo dunque che, tra i tanti componenti che produce per conto terzi, ci siano parti essenziali per far fronte all’emergenza attuale, ad esempio componenti per respiratori. Si tratta di un’attività necessaria in questo frangente, ma l’azienda per lavorare deve presentare ricorso alla Prefettura di competenza, che nella maggior parte dei casi non risponde, non è informata o non ha le giuste direttive. È veramente difficile trovare una via d’uscita anche quando ci sono in ballo interessi immediati. Anche i profili di alluminio da noi prodotti hanno mille usi, tra cui quello medicale; pensiamo ai letti ospedalieri, ai tubi per gli strumenti di ossigenazione.
In che modo si sarebbe potuto ovviare al problema?
Esattamente nello stesso modo in cui si sta gestendo tutto il resto: tramite autocertificazione, dichiarando che si stanno producendo beni essenziali per fare fronte all’emergenza. Se ci fosse una capacità legislativa adeguata non dovremmo neanche affrontare l’argomento, ma siccome manca, si sarebbe potuto dare fiducia al singolo e all’azienda, considerando che una falsa dichiarazione autocertificata apre al penale e che l’attività delle aziende è sempre strettamente monitorata anche dai sindacati.
Possiamo parlare di economia di guerra per quanto riguarda le conseguenze sulla  filiera produttiva?
Io ne ho descritto i problemi diretti, poi arrivano quelli indiretti. Come faccio a lavorare, io che produco componenti per il settore sanitario, se i miei fornitori sono chiusi? Certo fare un’operazione come quella delle autocertificazioni è complicato e anche rischioso, ma tutt’al più chi avesse voluto correre il rischio dichiarando il falso se la sarebbe vista con il penale. Gestita in modo più intelligente, questa faccenda avrebbe potuto finire meglio. Questo ipercontrollo è sbagliato se non si conosce nulla di come funziona la filiera produttiva.
Facciamo un attimo il punto su cosa è previsto al momento per quanto riguarda le misure di sostegno alle aziende. Come fare in modo che tutti gli anelli della catena ripartano insieme?
Al momento non è possibile fare una stima realistica di quanto durerà il fermo delle aziende, e se fosse fino al 3 aprile si potrebbe comunque recuperare in corsa senza grosse conseguenze, facendo slittare qualche scadenza amministrativa e fiscale. Quello che subirà un fermo più lungo è il comparto turistico e della ristorazione. Questi sono inevitabilmente i settori maggiormente a rischio e che bisogna aiutare subito con un’iniezione di liquidità straordinaria, che non può che venire dallo Stato. Stato che dovrebbe attivarsi quando ce n’è bisogno, non prima e non quando non c’è più nulla da salvare, e in queste circostanze servirebbe uno Stato snello e veloce, che noi non abbiamo. Le normative attuali che prevedono un finanziamento alle aziende sono irrealistiche, chi ha una conoscenza anche minima del meccanismo sa bene che è stato eretto un muro di burocrazia che scoraggia i più anche dal chiedere informazioni. Lo voglio sottolineare bene: la burocrazia in questi casi non è semplicemente un intralcio, ma un impedimento usato volutamente per non fare, o per impedire di fare. La maggior parte delle richieste di chiarimenti che arrivano in associazione in questi giorni da parte dei piccoli imprenditori riguarda proprio questo. In una situazione simile, occorre urgentemente scavalcare privacy, certificazioni e quant’altro: siamo in guerra, lo Stato deve rispondere e deve rispondere a tutte le aziende fino a una certa quota di fatturato, deve impegnarsi in primis a emettere una garanzia in tempi rapidissimi, e fare in modo che essa sia immediatamente accessibile a chi ne ha bisogno. Ovviamente, senza regalare nulla, nessuno sta chiedendo regali. E, anche a fronte dell’eventualità, improbabile comunque, di una possibilità di Insolvenza, lo Stato deve pensare a salvare l’economia.
Pensa che sia necessario superare le dicotomie tradizionali tra mondo produttivo, associazionistico, sindacale, società civile e lavorare insieme per un obiettivo comune?
Se è vero che siamo in economia di guerra, in guerra le regole tradizionali saltano. Vanno sentite tutte le parti sociali in causa, in un clima di buon senso e collaborazione. Se è per primo il capo del Governo a convocare solo alcuni selezionati tra sindacati e associazioni, non siamo sulla strada giusta. Democrazia significa ascoltare anche chi potrebbe avere una posizione diversa dalla propria, e questo non sta avvenendo. Segnalo un altro episodio di poca correttezza, il fatto di stilare e modificare la lista delle attività che possono produrre affidandola solo ed esclusivamente ai sindacati, che la gestiscono brandendo la minaccia dello sciopero generale. Devono cambiare questi riti, non perché non ci debba essere diritto allo sciopero generale, ma perché siamo in una situazione di eccezionalità che impone di rivedere le regole di confronto.
Il Presidente Agnelli così conclude: «Comunque sento che alla fine di questa brutta avventura ripartiremo più forti di prima, con meno impedimenti europei, meno globalizzazione, più italianità e avremo rivisto le priorità delle cose che effettivamnete contano nella vita».

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