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MICHELE SENNI

«Io, ingegnere del cuore, e la sfida del Coronavirus»

agosto 2020

Efficienza, capacità organizzative, flessibilità e spirito di sacrificio. Questi gli asset che hanno permesso al Papa Giovanni XXIII di resistere, ultimo baluardo all’avanzata del coronavirus. Ne è convinto Michele Senni, direttore del Dipartimento cardiovascolare e dell’Unità di Cardiologia dell’Ospedale di Bergamo. Come tutti gli altri colleghi, anche lui e il suo staff sono stati messi alla prova nei giorni in cui Bergamo era l’epicentro dell’emergenza Covid-19. Ora Senni torna alla sfida di sempre. Quella di chi eredita una tradizione per proiettarla nel futuro.
Professor Senni, qual è attualmente la situazione al Papa Giovanni rispetto al coronavirus?
Non abbiamo pazienti ricoverati per sintomi da Covid-19 da ormai un mese e le terapie intensive sono ormai covid-free. Stiamo tornando a seguire i pazienti in cura prima della pandemia. L’Ospedale ha già avviato il follow up su migliaia di pazienti guariti dopo il Covid-19. Capiremo molto sull’impatto del virus sul sistema cardiovascolare, polmonare e neurologico.
Quindi ora possiamo tornare alla nostra vita normale?
Non bisogna abbassare la guardia. In Ospedale tutti i pazienti che ricoveriamo sono sottoposti a tampone. Io credo soprattutto nei comportamenti individuali. Il distanziamento sociale, l’igiene, la mascherina. Penso possano contribuire in modo significativo a scongiurare una ripresa del contagio su larga scala.
Quali cure si sono rivelate più efficaci? E a che punto è la ricerca?
A Bergamo siamo stati i primi a verificare l’efficacia del cortisone ad alte dosi. Alcuni studi stanno testando anticorpi monoclonali, antivirali, idrossiclorochina. Altri indagano i meccanismi innescati dal virus. Una nostra ricerca mostra una correlazione tra la mortalità di pazienti affetti da Covid-19 e il livello di troponina, un enzima che segnala un danno del miocardio. Il meccanismo non è ancora chiaro. L’infiammazione dell’endotelio, la parte che riveste i vasi cardiaci, è l’ipotesi più probabile. Gran parte della ricerca si sta invece concentrando sul vaccino, che potrà essere la risposta definitiva. Personalmente auspico il massimo rigore scientifico. La priorità va alla sicurezza e all’efficacia. La tempistica viene dopo.
Professor Senni, la storia dell’Ospedale di Bergamo viene da lontano. Parenzan e la Cardiochirurgia pediatrica, i primi trapianti di cuore. Quali sono oggi le nuove frontiere?
Quella storia è parte del DNA del nostro Ospedale. Oggi siamo capaci di assistere i neonati con cardiopatie congenite fin da prima della nascita, durante la gravidanza, e fino all’età adulta. Con 100 posti letto e 80 medici dedicati, il nostro è uno dei più grandi centri in Italia, tra i pochissimi in grado di coprire l’intero spettro cardiovascolare inclusi i trapianti di cuore. Siamo tra i più attivi negli studi sullo scompenso cardiaco e sull’imaging intracoronarico. Contribuiamo agli studi internazionali su terapie farmacologiche e sui device avanzati. Così garantiamo ai nostri pazienti le migliori terapie. Anche grazie alla collaborazione con la FROM - Fondazione per la Ricerca dell’Ospedale di Bergamo.
Sembra sentir parlare un ingegnere, non un medico.
[ride] No le assicuro. Sono un medico. Certo quella dell’ingegnere è una professione che mi ha sempre affascinato. In fondo ha molto in comune con la mia. Noi cardiologi interveniamo quando il cuore o i vasi non funzionano come dovrebbero. Eseguiamo complessi calcoli sulla base di valori emodinamici. Indaghiamo gli aspetti meccanici di un sistema cardiocircolatorio, fatto anche di pompe e di valvole. Anche noi cerchiamo di replicare o di ispirarci alla perfezione della natura con materiali e tecniche artificiali. Al mio quarto anno di studi medici, il CNR aveva lanciato il progetto Icaros. Erano gli albori del cuore artificiale. Non ebbi alcun dubbio. Mi trasferii a Pisa. La mia diventò la prima tesi di laurea sull’argomento.

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